ITIS

 IstitutoTecnico LiceoTecnologico  

 Leonardo da Vinci Lanciano

LSTS

                                      L'angolo della scienza
 

 

Sul concetto di vuoto e sul suo significato.

         In un recente articolo sull’effetto Casimir (una forza originata dal nulla) mettevo in evidenza come il vuoto fisico nella realtà non esiste, essendo un marasma di particelle in continuo processo di creazione-annichilazione. Voglio ora mostrare anche qualche altro campo in cui si possa affermare l’inesistenza del vuoto o perlomeno la sua esistenza solo a livello teorico. Cerchiamo una risposta alla domanda particolare: Esiste uno spazio completamente privo di suono?

     Sicuramente molti di voi avranno sperimentato la sensazione del mare nella conchiglia. Se provate, infatti, ad avvicinare all’orecchio una conchiglia vuota, vi sembrerà di percepire un rumore che di solito viene considerato come rumore del mare; ma questo avviene solo per una associazione logica con la provenienza della conchiglia. Cosa succede in realtà?

        In pratica noi viviamo immersi in uno spazio pieno di aria, non fosse altro per questioni fisiologiche di sopravvivenza. Le particelle d’aria non sono ferme, ma statisticamente si muovono in ogni direzione originando impercettibili vibrazioni. Ognuno di questi suoni ha una frequenza e quindi una lunghezza d’onda diversa. All’interno della conchiglia saranno permesse solo determinate lunghezze d’onda; solo quelle, cioè, in grado di originare onde stazionarie all’interno della stessa, a seconda delle sue dimensioni fisiche, secondo il meccanismo analogo a quello spiegato nell’articolo sull’effetto Casimir. Saranno permesse solo lunghezze d’onda che soddisfano le condizioni di risonanza (n * l/2 = L dove L rappresenta la lunghezza della cavità, l è la lunghezza d’onda, e n un numero intero qualunque). Sono queste le vibrazioni che percepiamo all’interno della conchiglia, amplificate dalla cavità della conchiglia stessa. Possiamo trarre da questa esperienza la semplice conclusione che nel mondo reale in cui viviamo non esiste il silenzio assoluto.  

      Negli strumenti musicali a fiato, l’origine del suono è la stessa, solo che per ottenere un suono percettibile abbiamo bisogno di provocare meccanicamente le vibrazioni dell’aria, soffiando direttamente in un foro obliquo (flauto traverso o flauto dolce), generando vibrazioni direttamente con le labbra (tromba, trombone, corno ecc..),  facendo vibrare un’ancia (oboe, clarinetto, sassofono ecc..) o ancora provocando flussi d’aria con dei mantici, all’interno delle canne d’organo. Un fisico italiano dell’Università di Perugia, prof. Paolo Diodati, ha costruito una specie di strumento musicale, costituito da una serie di tubi vuoti, chiusi ad un’estremità,  di varia grandezza, con la stessa funzione delle canne d’organo, cioè quella di selezionare determinate frequenze e quindi determinate note musicali; sensibilissimi microfoni posti all’estremità aperta, sono capaci di rilevare ed amplificare i suoni generati all’interno di ogni canna con frequenza corrispondente alle dimensioni del tubo. Lo strumentista, attraverso una tastiera, decide solo quale microfono attivare e in quale momento, determinando le note generate. Al sito http://www.fisica.unipg.it/~diodati/suoni/  potrete ascoltare dei suoni generati da tale strumento. L’origine del suono quindi non presuppone alcun intervento dell’uomo, essendo generato dall’ambiente stesso, suppostamene vuoto.

         Un geniale e controverso musicista del novecento, John Cage (1912-1992), a seguito di una sua esperienza personale, era diventato un deciso assertore dell’inesistenza del silenzio. Entrando in una camera anecoica, infatti, una di quelle camere con le pareti rivestite di materiale fonoassorbente che vengono utilizzate per evitare riverberi e alterazioni del suono, in un momento di silenzio aveva percepito due suoni, uno a frequenza bassa e uno a frequenza alta. Il tecnico, a cui si era rivolto per chiedere spiegazioni di questo fenomeno, gli aveva risposto che molto probabilmente aveva “ascoltato” il rumore del suo flusso sanguigno (il suono a bassa frequenza) e quello dell’attività del suo sistema nervoso (quello a alta frequenza). Questa esperienza lo aveva profondamente colpito e quindi si  era convinto che il fenomeno della conchiglia si verificasse in qualunque oggetto. Essendo ogni elemento naturale soggetto a vibrazioni fisiche naturali impercettibili, è possibile, con opportuni amplificatori, rilevare la “musica” di un albero, quella di una bicicletta, di un pezzo di pane ecc..ecc.. In una intervista ebbe a dire:”…Guardi questo posacenere. E’ in uno stato di vibrazione. Noi ne siamo certi e i fisici possono provarlo. Ma non possiamo ascoltare queste vibrazioni. Quando entrai in una stanza anecoica, potei ascoltare me stesso. Ebbene, ora io voglio, invece di ascoltare me stesso, ascoltare questo posacenere…”. Era nata in lui l’idea, alquanto utopistica, di creare ambienti rallegrati dalla musica della natura, cosa immaginata per un parco a Ivrea, in Italia, pensata ma mai realizzata. Il provocatore Cage, che resta comunque un interprete straordinario della musica del “900, ha cercato di estremizzare ancora di più il concetto di “vuoto musicale” nella sua opera più discutibile intitolata 4’33’’. Il titolo deriva dal fatto che l’opera, eseguita effettivamente da varie importanti orchestre, anche se scritta inizialmente “per qualsiasi strumento o combinazione di strumenti”(figura in questa pagina), prevede tre movimenti di varia durata che assommano complessivamente a 4 minuti e 33 secondi durante i quali gli orchestrali restano in assoluto silenzio. Potete immaginare lo sconcerto degli ignari spettatori che assistettero alla prima dell’opera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

       In questo caso emerge l’intento artistico dell’autore, che non era certo quello di percepire i suoni generati autonomamente negli strumenti o nel palco o nelle persone, ma più semplicemente quello di realizzare una composizione fatta dai suoni (o dai rumori se volete) generati da un pubblico in un teatro, in un momento di supposto silenzio. A mio avviso un colpo di genio.

       E qui voglio ora affrontare un punto che spero possa essere un punto di partenza piuttosto che un punto di arrivo, per chi legge. Il concetto di vuoto ha un qualche significato? (oppure no?). Vari filosofi si sono occupati del problema fornendo diverse risposte. In particolare Immanuel Kant, uno dei filosofi più importanti dell’illuminismo, ha fornito diverse definizioni del vuoto. C’è un vuoto razionale definito come esistenza di “nessuna cosa” in opposizione al concetto di “uno”, “pochi” o “molti” (ens rationis); c’è un vuoto reale come negazione o mancanza di qualcosa, spazio non occupato, ad esempio lo spazio lasciato dalla mancanza di un oggetto (ens privativum); c’è un vuoto intuitivo, privo, cioè, di esistenza formale come qualcosa di inesistente, ad esempio il concetto di spazio e tempo assoluti (ens imaginarium); e, infine,  un concetto di vuoto legato alla contraddizione in termini, cioè qualcosa di inesistente sia concettualmente che formalmente, un triangolo di due lati o una figura rettilinea a due lati (nihil negativum). Tutti questi esempi giustificano l’idea che è comunemente associata al vuoto come mancanza, assenza di contenuti; qualcosa privo di significato, senza senso, in definitiva negazione assoluta. Questa mancanza di suoni o di segni, può avere un senso, ad esempio nel campo dell’arte?

 

 

 

 

 

 

         

      La provocazione di Cage ci costringe a riconsiderare il silenzio e ad un rovesciamento di ruoli. Lo spettatore non ha più la funzione passiva di ascoltatore dei suoni generati dagli orchestrali, magari pensando ad altro; in questo caso diventa egli stesso esecutore e fruitore di suoni nello stesso tempo, riempiendo con la sua presenza gli spazi sonori disponibili. Questa situazione è stata ripresa, sulle orme dello stesso Cage, da vari artisti di certa avanguardia pittorica, che hanno applicato questo concetto nel loro campo. Una tela vuota non è affatto priva di significato, ma assume diversi significati a seconda dell’osservatore. E’ l’osservatore stesso che con la sua presenza, le sue intuizioni e la sua stessa partecipazione emotiva, dà un senso al quadro, ogni volta diverso.

 

         

 

       Nascono così negli anni “50” le “White paintings” di Robert Rauschenberg (un pittore americano), a sinistra nella figura sopra, o le opere di Robert Ryman, altro americano, vivente, a destra nella figura sopra: semplici tele bianche appese alla parete; e, ancora prima,  i provocatorî “Quadro nero su fondo bianco” o “Quadro rosso su sfondo bianco” di Kazimir Malevic, artista ucraino fondatore del “suprematismo”, movimento artistico dei primi del ‘900 nei quali l’artista rivendicava la supremazia dei sensi e delle sensazioni sul significato intrinseco delle opere ( figure in basso). Nonché un “Quadro bianco su sfondo bianco”, dello stesso artista, che vi lascio immaginare.

 

             

 

       Opere apparentemente prive di senso, ma in realtà ancora più significative perché possono assumere ogni volta un significato diverso, a seconda di quelli forniti dall’osservatore.

       E naturalmente potremmo continuare nell’elenco.  Mi viene in mente un film di Lars Von Trier, magistralmente interpretato da Nicole Kidman, “Dogville”, in cui la scenografia è stata realizzata, su un palco vuoto, con semplici segni sul pavimento e pochissimi oggetti: un letto, una sedia, una macchina ecc.. La drammaticità e la veridicità delle azioni scaturiscono dalla recitazione e dal pathos che gli attori sono in grado di generare, e non dall’ambiente in cui essi si trovano, muovendosi praticamente in uno spazio vuoto. In questo caso la “mancanza” di scenografia è utilizzata dal regista per i suoi intenti artistici. Una vera rivoluzione che merita forse qualche riflessione in più da parte nostra, comprese le critiche che possiamo portare a questo modo di operare e di pensare. Lo spot pubblicitario che intende promuovere i prodotti elettronici di una famosa casa di computers così proclama: «Ecco i pazzi. I disadattati. I ribelli. I contestatori… Puoi lodarli, disapprovarli, citarli, Puoi non credere loro, puoi glorificarli o denigrarli. Ma ciò che non potrai fare è ignorarli. Perché loro sono quelli che cambiano le cose. Inventano. Immaginano. Curano. Esplorano. Creano. Ispirano. Mandano avanti l'umanità. Forse devono per forza essere pazzi. Altrimenti come potresti guardare una tela vuota e vederci un'opera d'arte? O sedere in silenzio e sentire una musica che non è mai stata composta? … E se alcuni vedono la pazzia, noi vediamo il genio. Perché le persone così pazze da pensare di poter cambiare il mondo sono quelle che lo cambiano».

 Domenico Di Bucchianico

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